giovedì 21 agosto 2014

Prestino, i privati salvano ancora il Comune. Ma guarda le foto: è giusto questo prezzo da pagare?


Avviso subito: la storia di Prestino ha - o almeno dovrebbe avere - un lieto fine. Ma è tutto ciò che è avvenuto prima che davvero non funziona.

Il quartiere - al quale a breve vorrei dedicare un post specifico - ha diversi problemi, come tutte le periferie di Como e in genere del mondo, se mi si passa il concetto. Uno dei baluardi della vita di zona, però, è sempre stato il campo di calcio a 7. Piazzato come un'astronave di sabbia tra condomini e autostrada, quel terreno duro e sassoso, e quegli spogliatoi di fine lamiera credo abbiano ospitato almeno una volta, nel corso dei decenni, ogni comasco che abbia tirato un calcio al pallone. Molte società ufficiali o amatoriali vi hanno anche svolto i tornei del Csi. Naturalmente, il Comune di Como, proprietario della struttura sportiva (come di altri 17 campi da calcio cittadini) nel corso degli anni ha accuratamente evitato ogni intervento di manutenzione straordinaria, delegando semmai alle singole società una cura minimale pur di poterci giocare. 


Arriviamo dunque a metà 2013, quando il campetto - simbolo di vita nel cuore di Prestino - precipita in una condizione-limite, tanto che vi viene sospesa ogni attività perché ormai pericolosa. Ma Palazzo Cernezzi (come per le fontanelle di piazza Cavour, per la passeggiata a lago, per le statue di Villa Olmo ecc) trova le solite anime pie disposte a metterci mano. Nel caso, la società Libertas, che tra gennaio e lo scorso maggio, ottiene la disponibilità della struttura sportiva in cambio di interventi di sistemazione su terreno, luci e spogliatoi. Bene, alla fine il volontarismo e l'amore per il pallone potrebbero riconsegnare tra qualche tempo il campetto al quartiere e a centinaia di appassionati.

Quello che proprio non funziona, però, prima del lieto fine (che arriverà comunque dopo mesi e mesi di una struttura pubblica inutilizzabile) è il concetto che se non interviene un privato, a Prestino come a Villa Olmo, sul lungolago come in piazza Cavour, l'unica alternativa che offre sovente il Comune è l'abbandono, l'oblio, la devastazione (vi invito a leggere l'articolo di oggi su La Provincia circa il destino del Palazzetto di Muggiò, è da manuale). No, così non va. L'idea che la mano pubblica abbia bisogno di decine di braccia private per assicurare alla città manutenzioni e cura della città non è soltanto una bella storia, è un abbandono dell'amministrazione al suo compito d'elezione (letteralmente). Anche se mancano i soldi, anche se le vacche sono magre. Soprattutto perché - là dove la demagogia si tocca con la verità - quelle vacche spesso sono i cittadini, più che munti.

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