Tutto ciò che leggerete di seguito è la trascrizione del video registrato l'11 luglio scorso nel Santuario della Santissima Trinità di Maccio (qui il sito ufficiale) durante la "Preghiera della Supplica con spiegazione delle vicende del Santuario".
Si tratta di un filmato di un'ora e 59 minuti nel quale, davanti a un pugno di fedeli, il parroco don Luigi Savoldelli ha raccontato nella più dettagliata maniera possibile le visioni del maestro del coro del paese, Gioacchino Genovese, gli eventi accaduti nella chiesa tra il 2000 e il 2010, le estasi mistiche, lo sgomento e la meraviglia dei fedeli, i messaggi misteriosi di cui è diventato portatore Genovese, il famoso "miracolo" dell'acqua che bagnava l'altare e tutto il percorso tramite cui la Chiesa ha deciso di elevare la parrocchia a santuario con l'annuncio portato a Maccio dal vescovo di Como, Diego Coletti, la notte del 27 novembre 2010. Ecco cosa accadeva in quella chiesa, dalla voce del sacerdote.
Si tratta di un filmato di un'ora e 59 minuti nel quale, davanti a un pugno di fedeli, il parroco don Luigi Savoldelli ha raccontato nella più dettagliata maniera possibile le visioni del maestro del coro del paese, Gioacchino Genovese, gli eventi accaduti nella chiesa tra il 2000 e il 2010, le estasi mistiche, lo sgomento e la meraviglia dei fedeli, i messaggi misteriosi di cui è diventato portatore Genovese, il famoso "miracolo" dell'acqua che bagnava l'altare e tutto il percorso tramite cui la Chiesa ha deciso di elevare la parrocchia a santuario con l'annuncio portato a Maccio dal vescovo di Como, Diego Coletti, la notte del 27 novembre 2010. Ecco cosa accadeva in quella chiesa, dalla voce del sacerdote.
Don Luigi, spiega come iniziarono le "visioni" del maestro del coro, nel 2000.
Le voci gli davano indicazioni molto
precise di cosa dire ad alcune persone, dal vescovo ai parrocchiani fino, talvolta, a sconosciuti. E spesso (quando Genovese si avvicinava e parlava alle persone oggetto delle rivelazioni, ndr) questo suscitava grande sorpresa e
imbarazzo negli altri. Poi seguiva un'amnesia, e lui non si ricordava cosa aveva
comunicato. Si trattava di un’esperienza più complessa della “locuzione interiore”, che nella
storia della Chiesa molte volte è stata attestata, per cui un uomo o una donna
sente una voce associata a una percezione visiva. Cioè quella che ha avuto Bernadette a Lourdes,
mentre raccoglieva la legna, ha visto una signora ed è rimasta attonita. Bernadette ha visto e ha sentito quella signora che diceva alcune cose.
Nel caso del maestro del coro di Maccio, le cose andavano diversamente.
In questo
caso la visione è interiore, intellettuale. Gioacchino è partecipe di un’esperienza. Vede, sente e si muove
pur restando fermo, con gli occhi chiusi. E' chiaro, comunque, che è un'esperienza molto coinvolgente: non è
soltanto sentire una voce. L’esperienza accadeva qui, quando la chiesa era
chiusa. Intorno a mezzogiorno, Gioacchino veniva a pregare, a volte
con me, a volte da solo. E in quei momenti c’erano le esperienze. La cosa è
continuata per 4-5 anni, con poche persone presenti. Già allora, sarebbe stato facile lasciarsi
andare, creare gruppi di preghiera, scrivere, parlarne. C’erano pressioni, alcuni
volevano rendere nota la cosa. Ma il vescovo Maggiolini ha parlato più volte con
Gioacchino e molte volte anche con me e ha sempre detto: “Basso profilo, andiamo
avanti ma questa cosa va verificata. State nell’obbedienza". Comunque tutto ciò che è
accaduto qui è stato fatto con permesso esplicito del vescovo.
A un certo punto, questa voce
interiore ha chiesto a Giacchino di vivere quei momenti di preghiera in modo
pubblico, assieme alla comunità, attraverso il parroco e gli altri sacerdoti.
Per cui l'esplicita richiesta era fare novene di preghiere alla sera, alle 22.30, o
alle 5 del mattino. Allora
abbiamo cominciato questi momenti. Come si svolgevano? Si pregava il rosario,
lo recitavo io, perchè è sempre stato detto che la preghiera doveva essere guidata da
un sacerdote come “garanzia” di ecclesialità. La chiesa era semibuia,
Gioacchino era in ginocchio e in genere saliva all’altare verso la fine,
davanti alla croce, oppure davanti al tabernacolo. Questi momenti erano due,
distinti: il primo era un colloquio evidente con qualcuno che gli parlava. Era
ciò che faceva lui: davanti all’altare si muoveva verso la croce. Poi spiegava che la voce gli aveva detto di andare da qualche persona presente in chiesa. Quindi capitava che Gioacchino andasse da chi era in fondo e
gli raccontasse cose che lo lasciavano un po’ così. Tutto questo durava 10-15 minuti.
I momenti di preghiera e le visioni del maestro del coro si fanno sempre più intese, drammatiche, con stati di estasi e svenimenti improvvisi che talvolta spaventavano per la "violenza" i fedeli presenti in chiesa.
Poi è arrivato un secondo momento, molto più
intenso. Gioacchino saliva all'altare e in quel momento era come se svenisse. Cadeva al suolo e chi veniva per la prima volta si spaventava. Non si è mai
fatto male, non ha mai rotto gli occhiali, mai avuto traumi. E in quella posizione di
estasi, rimaneva per tempi lunghi, anche più di mezzora qualche volta. Io mi
avvicinavo spesso a lui, in ginocchio, e vi garantisco che lui era in uno stato
di non coscienza. E si sentiva che pregava, parlava con qualcuno. Parlava dei santi, di
Gesù, del Papa, del vescovo, ma si capivano solo poche parole. Alla fine, era
come se si svegliasse all’improvviso. Stanchissimo, molto provato, lo sollevavo
e lo portavo al banco. In quel momento mi raccontava cosa aveva vissuto. La
preghiera si chiudeva con un momento comunitario. Questa cosa è capitata per anni. Negli ultimi tempi celebravamo 9 novene, 81 sere all'anno dove non si sapeva mai cosa accadeva. La
preghiera finiva molto tardi, c’erano 30-40, anche 70 persone.
Una delle obiezioni sugli eventi è come mai non siano mai stati fatti accertamenti medico-clinici.
Come mai non si sono
fatte indagini mediche? Non ci è mai stato chiesto dal vescovo di organizzare
cose del genere. Non abbiamo mai fatto filmati o riprese. Ci sono tanti testimoni ma non
altro.
Don Luigi Savoldelli parla poi dell'apparizione dei segni misteriosi sull'altare della chiesa di Maccio.
Durante le novene,
soprattutto nel 2009-2010, sono diventati visibili i segni
sull’altare, collocato qui subito dopo gli anni '90, quando è stata rifatta tutta
la chiesa con una grande ristrutturazione. Questo
altare è un blocco di marmo serpentino della Valmalenco di 30 quintali, non è al
centro esatto del presbiterio e va visto assieme alla croce. Durante la
preghiera, nella seconda fase degli avvenimenti, in estasi, Gioacchino più volte alzava la mano sull’altare
e dove faceva scivolare la mano apparivano segni di bagnato e di umido. Anche durante
la preghiera sono apparse queste macchie. Dopo le preghiere, chi saliva all’altare sentiva l’umido: le macchie si
ingrandivano, si rimpicciolivano come acqua o olio che agisce su una
superficie. Però questo è marmo: l’acqua dovrebbe scivolare via. Le donne delle pulizie
sono venute subito coi panni ma le macchie non venivano via. Ci sono decine di
fotografie che testimoniano tutto questo.
Il vescovo Coletti a quel punto chiese di indagare, quindi abbiamo chiesto a chi
aveva messo l’altare, la ditta Bernasconi di Como che ora ha chiuso, e loro
hanno detto che è impossibile che dal dentro del marmo possa uscire un liquido,
soprattutto in un luogo a temperatura costante, riscaldato d’inverno. Allora il vescovo Coletti ha chiesto l'intervento dei Ris di Parma. Hanno fatto rilievi,
tamponi, foto, analisi e poi hanno esaminato tutto a Parma. Il sospetto poteva essere che Gioacchino
usasse sostanze tipo profumi, olio, cera che potessero macchiare. Oppure che fossero tracce del sudore
della mano. Dopo un paio di mesi, i Ris hanno comunicato gli esiti: erano state trovate soltanto tracce di acqua, né
più né meno. Quando la vicenda divenne nota, venimmo addirittura minacciati di denunce da un'associazione antifrode. Pensavano che si imbrogliasse, che sull'altare ci fosse soltanto condensa dovuta alla presenza in chiesa di tanta gente. E allora perché
non si è mai formata né prima né dopo? Questo accadeva solo ed esclusivamente
durante le preghiere con Gioacchino. Qualcuno ha ipotizzato persino che io avessi messo
una piccola pompa che facevo scattare per far uscire l’acqua. Ma, alla fine, non c'è stata nessuna
denuncia, ovviamente.
Il sacerdote poi spiega il possibile significato delle visioni di Gioacchino Genovese e dell'acqua sull'altare.
Quando si sono apparsi i segni,
Gioacchino viveva esperienze sempre riguardanti la misericordia e nei suoi scritti
ha attestato che la misericordia veniva descritta come un fiume, anzi come un
liquido sieroso, che riempiva il tabernacolo (e ci sono testimonianze giurate in proposito) e poi usciva per fecondare il mondo.
Vi faccio notare che questi segni sono sull’altare, non su immagini come accaduto per esempio per la lacrimazione della Madonna a Siracusa. E non si tratta di segni di sangue su quadri o statue. Io non ho mai sentito di segni di questo tipo
sull’altare. Ora, l’altare sulla chiesa è il luogo più importante assieme al
tabernacolo, perché è il luogo sacro su cui si celebra il mistero
dell’eucaristia. Quando si consacra una chiesa, si consacra anche
l’altare. Questo segno vuole far
riscoprire la centralità dell’altare, dell’eucaristia e del ministero
sacerdotale.
Tutto quanto accadeva in quella chiesa, però, a un certo punto andava anche documentato, scritto, raccontato. E Gioacchino Genovese prese a scrivere i suoi quaderni.
Il vescovo ha chiesto a
Gioacchino di scrivere ma lui non voleva, aveva timore. Ma alla fine ha obbedito alla richiesta del vescovo Coletti. Come sono composti questi scritti: in chiesa o più spesso nella casa parrocchiale, Gioacchino veniva con grandi quaderni verdi e diceva che non
sapeva cosa scrivere. Poi, però, come rivivendo quello che aveva vissuto in
chiesa, iniziava a scrivere. Non era la cosiddetta “scrittura automatica”, era come quando uno segue un’ispirazione. Gioacchino era cosciente, una volta c’era
il vescovo. Scriveva senza fermarsi mai, senza correggere mai, con concetti
molto impegnativi che riguardano la
Trinità e la
Chiesa , a volte senza capire quello che scriveva ma seguendo
un’ispirazione che lo obbligava a scrivere le realtà che vedeva. Io poi ho
ribattuto tutto al computer, e ci spiegavamo a vicenda le cose scritte. Lui mi
chiedeva più volte: ma che bisogno c’è se c’è tutto nel catechismo?
Gli scritti sono stati poi dati
al vescovo, che ha formato una commissione, e poi li inviati a Roma alla
Congregazione per la Dottrina
della Fede, accompagnati con testimonianze, fatti e documenti. Io vorrei diffonderli ma non posso: la Congregazione lo ha vietato. E sto all’obbedienza, anche se si fa un po’ fatica.
Come tutti sanno, alla fine la Congregazione ha dato il benestare e il vescovo di Como ha eletto a santuario la chiesa di Maccio. A quel punto, però, Gioacchino Genovese si è allontanato dalla sua parrocchia e i fatti - almeno quelli pubblici - si sono fermati.
Gioacchino si è molto
staccato da questa esperienza, perché molti venivano qui per lui, a chiedere
intercessioni, preghiere. Ma lui si ritiene un messaggero che riceve un
messaggio, lo porta alla chiesa e poi sparisce, il suo compito è finito. In
realtà Gioacchino vive ancora un’esperienza spirituale molto profonda ma va a messa da altre parti. La comunità dei fedeli ha vissuto diversamente: c’è chi si è tirato
fuori, chi si è sentito più coinvolto ancora. La vita del santuario continua nella
normalità. E' aperto tutti i giorni, tutto il giorno, fino alle 23, che non è
proprio un orario comune. Le preghiere della Supplica alla Santissima Trinità della Misericordia sono comunque tutte dettate da Gioacchino. Io, una volta, con la
chiesa mezza buia, le ho trascritte.
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