sabato 6 settembre 2014

Il ruggito di Gaddi: "Menti ristrette e snobismo da strapaese in chi ora parla di cultura a Como"


Il ruggito del leone, forse ferito ma indomito. Non saprei definire altrimenti la (bella, al netto di qualche tipica rudezza del personaggio) lettera aperta di Sergio Gaddi sul caldissimo dibattito intorno alla cultura a Como che si è aperto - anche grazie a questo spazio, si può dire? - in città.

Sotto, pubblico integralmente lo scritto dell'ex assessore alla Cultura attualmente a capo del dipartimento nazionale di Economia e marketing culturale di Forza Italia. Con tre sole sottolineature del documento. 
La prima riguarda la totale rivendicazione di Gaddi - espressa con toni aspri - circa le sue scelte di politica culturale imperniate sulle grandi mostre a Villa Olmo nel decennio a Palazzo Cernezzi. La seconda è l'affondo pesantissimo contro "le menti ristrette" e "lo snobismo vuoto e caricaturale tipico dei soliti benpensati da strapaese che si annidano a Como", una sorta di attacco all'attuale establishment al timone della cultura in città. Infine, impossibile non rimarcare la frattura ormai apparentemente insanabile con l'ex mentore Vittorio Sgarbi (cliccando qui l'audio del critico), a cui è difficile non accostare (sebbene forse in via non esclusiva) il "consiglio agli espertoni" che in tutta una carriera non hanno mai nemmeno sfiorato "il milione di visitatori che ho abbondantemente superato con le tappe internazionali di una sola delle mie mostre".

Ecco il documento integrale.

"Villa Olmo non è un museo, non ha una collezione d'arte, ma può ambire ad essere tra gli spazi espositivi più attraenti e visitati d'Europa. Partendo da questa constatazione, elementare e spietata al tempo stesso, ritengo che la scelta più difficile, lungimirante ed utile per la città sia quella delle mostre dei grandi nomi dell'arte internazionale, da privilegiare assolutamente agli esponenti locali. Privilegiare, non sostituire. Perché solo Picasso, Mirò, Klimt e molti altri sono in gradi di attirare i  visitatori che, fino a prova contraria, vengono ben prima delle pippe mentali di amministratori, commentatori e critici. 

Ovviamente è la scelta più difficile e che richiede maggiore competenza, perché un conto è trovare un paio di Sironi o tre De Chirico, altro è farsi prestare l'abbraccio di Schiele dal Museo Belvedere di Vienna o le Tre grazie di Rubens. È la scelta più conveniente, perché dopo almeno 15 anni di mostre di successo una sede si consolida, entra nella scelte abituali del pubblico e quindi produce quella ricchezza per la città che solo un costante flusso di visitatori può dare. È la scelta più intelligente perché a lungo andare la gente che viene a Como per vedere Magritte prima o poi visiterà anche l'asilo Sant'Elia. Invece, non è vero il contrario. Con buona pace delle menti ristrette è un dato di fatto che, con tutto il rispetto per Radice o Galli, gli astrattisti comaschi non attirano proprio nessuno (dove per nessuno intendiamo poche migliaia di persone). 

Allora mettiamoci d'accordo. Se vogliamo lo snobismo vuoto e caricaturale tipico dei soliti benpensanti da strapaese che si annidano a Como, allora continuiamo con la trita manfrina del local a i tutti i costi. Se invece vogliamo che la città diventi un vero polo culturale vivo e dinamico e non un paese per vecchi, e se davvero amiamo Terragni e Sant'Elia, allora apriamoci senza paura agli Impressionisti. Ma bisogna avere mente elastica, capacità multidisciplinari e visione internazionale. Ingredienti che mancano del tutto a quanti solitamente intervengono nel dibattito culturale comasco.  


Ed infine, un consiglio non richiesto a tutti questi espertoni: se e quando anche loro, in tutta la carriera, riusciranno a sfiorare il milione di visitatori che ho abbondantemente superato con le tappe internazionali di una sola delle mie mostre (Brueghel, nella foto sopra i cataloghi esposti al Louvre), allora saranno forse più credibili e prudenti nell'esprimere giudizi".

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