martedì 21 ottobre 2014

Tra rivendicazione di dignità politica e rischio degenerazione, in consiglio comunale a Como tramonta la cieca obbedienza al capo


Un sindaco e una giunta, per poter governare una città, hanno bisogno di una maggioranza politica in consiglio comunale (in buona salute).
Oggi, a Como, i numeri dicono che Mario Lucini, in aula, gode sulla carta di 19 consiglieri a favore (10 del Pd, 7 di Como Civica e 2 di Paco Sel), 12 contrari (3 di Nuovo Centrodestra, 2 di Forza Italia, 2 di Adesso Como, 2 della Lega, uno a testa per Fratelli d'Italia, Lista Per Como ed M5S) e uno, molto critico, sul confine (Amo la mia città).
Al di là dei tabellini, però, il sostegno politico reale su cui può contare oggi il primo cittadino con i suoi assessori sembra meno granitico di quanto suggerisca la matematica. Vediamo perchè.

Impossibile non partire dallo strappo recentissimo con Amo la mia città, che ha visto l'assessore Gisella Introzzi dimettersi per il taglio della delega al Personale vissuto come un atto di sfiducia diretto. La frattura tra il primo cittadino e la lista civica, a oggi, appare profondo e difficilmente sanabile. E, tra l'altro, l'avvicendamento tra i banchi consiliari del dimissionario Marco Servettini che ha lasciato per Eva Cariboni, sembra tutt'altro che agevolare un ri-appiattimento di Amo la mia città sulle posizioni di sindaco e giunta. Cariboni, infatti, sorriso dolce e tempra d'acciaio, da subito è sembrata ben poco incline alle regole di ascetica obbedienza che una fetta di maggioranza tributa a qualsiasi cosa provenga dall'esecutivo. E, anzi, un minuto dopo le dimissione della Introzzi "sfiduciata" da Lucini, la consigliera ha comunicato l'uscita almeno formale della lista dalla maggioranza, annunciando che ogni voto sarà ponderato in base ad argomento e valutazioni specifiche (non casualmente, peraltro, la Cariboni ha firmato pure la proposta di delibera del consigliere Alessandro Rapinese per abbattere il quorum in caso di referendum su Libeskind, cosa che pare abbia innervosito molto il primo cittadino e i suoi assessori più vicini).

Vi è poi il recentissimo caso - con salde radici nei mesi addietro, però - del furibondo litigio del consigliere di Paco-Sel, Vincenzo Sapere, con il presidente del consiglio comunale, Stefano Legani (Pd), vero custode dell'ortodossia assoluta rispetto al verbo "luciniano". Proprio ieri sera, durante la seduta di Commissione che poi ha determinato la non assegnazione dell'onoreficenza all'ex senatore Luciano Forni e l'abbassamento dei riconoscimenti dai classici 3 a 2, tra l'ex socialista è Legnani sono volate parole grossissime e soprattutto sembra essersi approfondito un vallo comunque già esistente. A oggi, Sapere e il collega di lista Luigino Nessi vanno sicuramente ritenuti ancora parte della maggioranza (anche se ieri sera il primo diceva di essere a un passo dall'uscita) ma in una posizione - già testimoniata anche concretamente - critica e pungente, tutt'altro che sicura e blindata su ogni provvedimento.

I malumori forti di Paco-Sel, peraltro, si saldano con quelli dell'ala Pd che da tempo rumoreggia e cannoneggia la giunta. E' la parte che ha nei consiglieri Raffaele Grieco e Guido Rovi i nomi simbolo ma che può estendersi almeno a un altro collega di banco (quel volpone di nome Gioacchino Favara, fresco interprete del pensiero di Pericle, nientemeno). E forse non soltanto a lui.

Ora, se è vero che sarebbe del tutto arbitrario e infondato unire i 5-6 nomi appena citati in un fronte di oppositori interni al centrosinistra pronti a ribellarsi e mandare a casa sindaco e giunta, questo incessante fenomeno di erosione del consenso attorno all'esecutivo resta molto eloquente. Se non altro perché rispetto al blocco granitico e talvolta venato di mutismo che si presentò a Palazzo Cernezzi nel giugno 2012, il centrosinistra istituzionale si è trasformato lentamente in un corpo politico più vivo, frastagliato, meno irreggimentato nella cieca obbedienza ai superiori. Da ciò consegue che la nuova zona grigia che separa maggioranza e opposizione dai rispettivi nuclei più definiti e intransigenti potrebbe finalmente divenire un argine rispetto a qualche oggettiva tentazione autoritaria della giunta e un terreno di fertile confronto politico tra soldati (i consiglieri) e i generali (l'esecutivo), sebbene concimato con una dose di sano rischio. Questo scenario avrebbe anche il merito di cancellare quella sensazione di sottomissione eccessiva dell'aula vissuta e raccontata per questi primi 2 anni e mezzo.

Tutto questo, naturalmente, a patto che il meccanismo non degeneri in quel tragico e farsesco gioco all'imboscata gratuita che caratterizzò per troppi anni il secondo mandato dell'ex sindaco Stefano Bruni, assediato da camarille di pirati annidate tra gli scranni che avevano scambiato la fisiologica dialettica politica, anche aspra, all'interno di una maggioranza, per un tiro al piccione che non ha fatto feriti, ma soltanto morti.

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